L’avversario – Emmanuel Carrère

La trama di una storia realmente accaduta

L’avversario di cui parla Emmanuel Carrère nel suo testo è quello di Jean-Claude Romand, un uomo che per diciotto anni ha costruito una vita basata sulla menzogna. Romand, come lo chiama l’autore probabilmente con intento distanziante, ha intrapreso gli studi universitari in medicina, mai terminati. Alla sua famiglia e agli amici aveva fatto credere il contrario. Raccontava di lavorare presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra e di essere uno stimato medico ricercatore. Conduceva, inoltre, una vita agiata attraverso i guadagni per la sua speciale posizione lavorativa. 

Niente di tutto questo era vero. 

Romand usciva di casa tutte le mattine creando l’illusione di un uomo indaffarato e con grandi responsabilità, in verità non si recava in alcun ufficio. Trascorreva le sue giornate in auto, posteggiato in un parcheggio di un supermercato oppure passeggiando per i boschi francesi. Il denaro necessario per mantenere lo stile di vita agiato, villa indipendente, scuole private per i figli e tutto il resto a seguire, Romand, lo procurava facendo credere a parenti ed amici che avrebbero potuto affidargli i loro risparmi affinché potesse investirli per loro e farli fruttare. Con forti garanzie e vantaggi se le operazioni venivano effettuate a nome suo, grazie alla sua posizione lavorativa. Nessun investimento avveniva. 

Diciotto anni dopo, prigioniero delle sue bugie e sul punto di essere scoperto, uccide moglie, figli e gli anziani genitori. Tenta il suicidio ma senza riuscirci. O forse non ne ha mai avuto reale intenzione.

Jean-Claude era figlio unico, nato in una famiglia di grandi lavoratori, onesti e rispettati da tutto il paese. Per i genitori di Jean-Claude, avere un solo figlio non era stata una scelta. Dopo la sua nascita vi furono altre due gravidanze extrauterine, le quali misero in serio pericolo la vita della madre. L’isterectomia fu l’unica soluzione possibile. 

La madre era da sempre affetta da depressione ma mai riconosciuta, tantomeno curata. Il padre un uomo emotivamente assente, freddo e non in grado di mostrare emozioni. Questo per Jean-Claude era qualcosa da emulare. 

Una possibile lettura psicologica sul caso di Jean-Claude Romand

In casa di Romand non si parlava di dolore e di tutto ciò che veniva ritenuto compromettente. I ricoveri della madre a causa delle pericolose gravidanze non vennero raccontati a Jean-Claude, divennero appendicite. E per Jean-Claude, ogni ingresso in ospedale, con il velo di mistero riguardante le cause, diveniva convinzione che la madre fosse morta e che glielo stessero nascondendo. 

Nella famiglia Romand si respirava un’estrema contraddizione: veniva insegnato a non mentire, come dogma fondante le loro esistenze ma allo stesso tempo non tutto poteva essere detto, nominato. Jean-Claude, a causa della salute mentale cagionevole della madre, non si legittimava a portare i suoi bisogni e dolori in famiglia. Questi avrebbero potuto peggiorare la salute della mamma fino a poterne causare la morte. Avrebbe potuto uccidere sua madre, era quindi necessario che tutto andasse sempre bene.

Questa dinamica relazionale con le sue figure di riferimento è caratterizzata da quello che teoricamente viene chiamato “Doppio Legame”, teorizzato da Gregory Bateson. Questo concetto psicologico si basa su una comunicazione contraddittoria tra il piano verbale e quello non verbale. Su un piano viene data una comunicazione, sull’altro quella opposta. Questo crea nella mente del bambino che vive questo legame una scissione cognitiva ed emotiva che porta la mente del soggetto ad un cortocircuito, a perdere contatto con la realtà e a stati psichici psicotici. Romand non è psicotico ma ha costruito una sua realtà e in essa si è rifugiato. 

Cercando di dare una lettura al testo di Carrère, senza pretesa di analisi profonda di una personalità così patologica, è possibile riconoscere come, dalle righe dello scrittore derivanti dallo scambio epistolare con Romand, emerga una strutturazione di personalità psicopatica, narcisista, un’emotività negata, una realtà costruita e una depressione che non è mai potuta emergere, travestitasi da narcisismo e assumendo connotati psicopatologici. Una personalità povera di empatia e senso morale. Non la morale cristiana, molto presente in Romand. Ma la morale in grado di fargli distinguere ciò che è lecito, da ciò che non lo è. 

Romand e la sua personalità, ci mostra – tra la moltitudine di aspetti – quanto di più consueto avviene nell’ambito dei funzionamenti e le strutture di personalità narcisistiche, con le dovute differenze a seconda della pervasività ed intensità. Personalità che a fronte di una facciata fatta di apparenza e risultati ottenuti, nascondono un forte senso di inadeguatezza, svilimento verso sé stessi, bisogno di possesso dell’altro, disprezzo e senso di incapacità. Fino ad arrivare a una forte e profonda depressione. Tutto il resto serve per non crollare, per non implodere, per non togliersi la vita. 

Leggendo questo testo mi sono sentita più volte – come lo stesso scrittore – oscillare tra un pensiero di compatimento verso quest’uomo, avvicinandomi alla sua sofferenza, ed un sentimento di rabbia e disprezzo volto a vedere Romand come un assassino, bugiardo e manipolatore che sull’orlo di essere smascherato non riesce a sopportare l’idea che le persone care (ma anche sé stesso) possano vederlo per quello che è realmente. E piuttosto le uccide. O possiede la loro approvazione e la loro “mente”, oppure può fare a meno di loro.

In seguito al suo arresto Romand, dopo un iniziale tentativo di difendersi, confessa. Tramite questa confessione assume le parti dell’omicida pentito che invoca al suo senso di libertà: “non mi sono mai sentito così libero, la mia vita non è mai stata così bella. Sono un assassino. La mia immagine agli occhi della società è la peggiore che possa esistere, ma è più facile da sopportare che i miei vent’anni di menzogne”. 

Il copione di Romand continua. Da uomo di famiglia, umile e onesto ad assassino pentito. Un’altra facciata, un altro Avversario che gli permetterà di non entrare in contatto con quella consapevolezza, quella depressione e disperazione profonda, il cui incontro potrebbe – e questa volta realmente – condurlo alla morte.